"La notte della cometa" di Sebastiano Vassalli
"La notte di una cometa" è una coraggiosa (per quel che conta), biografia romanzata di un "diverso", stavolta inteso non inteso in senso sessuale o razzistico, ma semplicemente un fantasioso, un pellegrino per i meandri del pensiero, un semplice fabbricante di parole che si trova il mondo contro e alla fine cede.
I poeti si sa son terreno minato, compi un passo leggiadro sulle loro parole e magari esplodi, sono una vera galassia che nasconde buchi neri che ti succhiano via e ti centrifugano in altri universi. "Notte" dunque, intesa come buio riempito di piccole stelle e "cometa", inteso come quello che passa, rimani ammirato ma poi. Sebastiano Vassalli è fine narratore, innamorato della verità storiche, quando non lavora di fantasia. Obiettivamente Dino Campana potrebbe essere lontano anni luce. Ma questi sono i miracoli che la poesia compie. Mettere in contatto mondi e parole e significati. E alla fine ti viene voglia di concordare con Campana: "E ancora per teneri cieli lontane chiare ombre correnti/E ancora ti chiamo ti chiamo Chimera". Ti chiamo anche io, o Chimera, basta che il cellulare non sia spento o irraggiungibile.
Poesia e pazzia, perfetta armonia Fenomenali, questi poeti, che sulle macerie dell'anima costruiscono nuovi mondi fatti, pensate voi, di parole, a cui si dona nuovamente senso e significato. "La notte di una cometa" è una coraggiosa (per quel che conta), biografia romanzata di un "diverso", stavolta inteso non inteso in senso sessuale o razzistico, ma semplicemente un fantasioso, un pellegrino per i meandri del pensiero, un semplice fabbricante di parole che si trova il mondo contro e alla fine cede.
Peccato, davvero, che nei nostri tempi attuali il termine "poeta" (come quello di "scrittore") sia diventata parola abusata e stuprata, per cui chiunque spezzi le frasi in maniere inconsueta e metta in riga presunte e consunte emozioni e parole più o meno significative, abbia il diritto di dire faccio poesia. E scritto e sia chiunque riesca a fare frasi di senso compiuto. Si tratta di uno dei tanti crimini (di impatto inferiore ad altri ma di valenza pari e superiore) commessi da questo secolo ventunesimo e va bene, che la poesia sia con voi. I poeti, dicevamo. Demiurghi, anche se a volte pazzi, sicuramente. Il confine tra pazzia e poesia è infatti labile e incerto e valanghe di "criticatutto" ne hanno parlato e sparlato a iosa, nel corso dei secoli, beati loro, saprofiti dell'anima e delle esuberanze altrui. Poeti, questi esseri strani, animali per certi versi ed extraterrestri per molti altri. Dicono che vivano sulla Luna o sulle remote lande di Marte, ma chissà. In realtà i poeti per ora sono anche uomini e, si sa, è difficile fare l'essere umano. Molte le reminiscenze ( ergo, volevo dire ricordi ma poi faccio poesia) che mi vengono. Fu probabilmente il Romanticismo (inteso come movimento culturale ed epoca storia e non come mero sentiero sentimentale anche questo disgregato da luoghi comuni che fanno comodo ai famosi saprofiti) a varcare e delimitare oppure ingigantire e tergiversare i confini fra pazzia e poesia, arte e stato di incoscienza. Poi venne il Novecento che ci fece una bella ramanzina e mise le cose, per così dire, a posto, nel senso che sovvertì qualunque assioma e trave portante e dalla fine, all'alba del Duemila della poesia vedemmo macerie e ricordi, mai sostanza oppure certezze, solo un infuso di passate storie e probabili immaginazioni.
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